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Le Volpi Scapigliate al fianco di Cecilia Sala: la giornalista va liberata subito

Stiamo vivendo ore di apprensione per le sorti della giornalista Cecilia Sala, incarcerata da due settimane a Teheran senza alcuna motivazione formale. Sala è una professionista stimatissima che ha saputo raccontare con fedeltà e coraggio le realtà di cui è stata testimone, specialmente in teatri di guerra, specialmente in Medio Oriente.
Diverse fonti suggeriscono che lo scopo del regime iraniano sia politico, che si tratti cioè di un sequestro mirato ad ottenere uno scambio di prigionieri. Qualora le finalità fossero di questa natura per così dire pragmatica, ci teniamo a sottolineare che compiere un’ingiustizia ai danni di chi fa informazione libera non sia mai una buona idea e sia anzi controproducente per chi lo fa. Violare il racconto autentico dei fatti o chi lo fa mina la propria credibilità ed espone il fianco alla propaganda esterna.
Una lezione, questa, che ci ha ricordato la stessa Cecilia Sala quando nei giorni successivi al 7 ottobere faceva debunking delle notizie sui crimini commessi da Hamas, perchè sosteneva che fosse importante distinguere i fatti dalle voci per poter essere credibili nell’accertamento delle responsabilità.
Distorcere la realtà o colpire i giornalisti liberi significa contrarre un debito nei confronti della verità, che prima o poi si pagherà sotto altra forma. La stampa libera deve essere protetta da tutti, perchè conviene a tutti.
Nello stringerci intorno alla famiglia di Cecilia e nell’esprimere fiducia nei confronti delle istituzioni italiane al lavoro in queste ore, come Volpi Scapigliate vogliamo quindi associarci all’appello rivolto da Articolo21 all’ambasciatore iraniano Mohammad Reza Sabouri: https://www.articolo21.org/2024/12/chiediamo-lurgente-liberazione-di-cecilia-sala-lettera-aperta-allambasciatore-reza-sabouri/.
Speriamo davvero che le ore e i giorni portino consiglio

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I nodi dovranno venire al pettine

Il 24 maggio 2024 è stato il decimo anniversario della morte di Andy. Ma è stato anche qualcosa di diverso, qualcosa di più. 

Il silenzio assordante dei media è stato il solito, anzi, pure peggio. Non si è vista la RAI, pochi della carta stampata. I pezzi grossi non si prendono la briga di invischiarsi in una storia così imbarazzante da raccontare.

Quelli che ci sono, però, sono sempre di più. E sono sempre più consapevoli di quale storia stiamo raccontando. Gli interventi di Andrea Zanoncelli, William Roguelon, Alessandra Ballerini sono squarci di verità in un oceano di scemenze.

Perché questo ci hanno lasciato le sentenze: la verità. La verità va molto oltre il non avere avuto giustizia. Da piccoli ci insegnavano che le bugie hanno le gambe corte. La verità, allo stesso modo, ha le gambe lunghissime.

In questa giornata per la prima volta abbiamo avuto la sensazione netta che prima o dopo i nodi dovranno venire al pettine. Andy e Andrej sono stati uccisi da una intera brigata di un esercito regolare su ordine del suo comandante. È una cosa troppo grossa per essere ignorata. A lungo. Potranno evitare il discorso, lanciare la palla in tribuna. Per un po’. Ma arriverà il giorno in cui questo nodo dovrà essere affrontato. E noi saremo lì. 

Da questa cosa passa non solo il nostro essere democratici, ma il nostro essere umani. Pensate a Gaza, e ai giornalisti che muoiono lì. Abbiamo l’occasione storica per decretare che nemmeno in guerra si spara sui giornalisti. E non la perderemo.

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Giornalisti uccisi: la verità é in pericolo

Il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) ha pubblicato oggi il risultato delle indagini che ha svolto sulle morti e i ferimenti di giornalisti durante il conflitto in corso tra Israele e Palestina. In meno di 2 mesi sono stati uccisi 63 giornalisti. Il primo mese di guerra è stato il mese con il più alto numero di giornalisti caduti da quando il CPJ ha cominciato a raccogliere questi dati nel 1992. L’attacco di terra da parte di Israele a Gaza non fa distinzioni, i bombardamenti a tappeto colpiscono tutto e tutti e a questo si aggiungono svariate segnalazioni di arresti, attacchi e minacce ai giornalisti. Fa impressione il modo in cui la Israel Defense Force ha risposto alle domande delle agenzie di stampa in cerca di rassicurazioni, affermando di non poter garantire la sicurezza dei reporter che operano nella Striscia. Tutti i dettagli si trovano qui: https://cpj.org/2023/12/journalist-casualties-in-the-israel-gaza-conflict/

Dopo decenni se non secoli di convenzioni internazionali atte a garantire il rispetto dei più elementari diritti umani nei teatri di guerra, siamo tornati alla casella zero, ed è spaventoso quanto questo tema sia normalizzato o addirittura ignorato dal dibattito pubblico. Lo schema a cui assistiamo da 30 anni di guerre per procura, lontane, locali, è sempre lo stesso:

  • Le forze armate in campo non fanno nulla per proteggere i giornalisti, o addirittura li attaccano deliberatamente, in aperta violazione della Convenzione di Ginevra
  • I giornalisti, spesso freelance, sono di meno, devono autogestirsi, sono in pericolo e viene loro impedito con le buone o con le cattive di fare il proprio lavoro
  • Il pubblico è così completamente ignaro di cosa sta succedendo sul campo: sa solo che c’è un conflitto e che una parte è quella giusta e l’altra quella sbagliata, perchè glielo dice il suo governo

Tutto questo innesca un circolo vizioso che indirizza la storia nella direzione opposta a quella verso cui sembrava avviarsi dopo la Seconda Guerra Mondiale: cronisti al seguito delle truppe (ricordate Full Metal Jacket?), cittadini informati e capaci di influenzare le guerre e anche farle finire esercitando la democrazia. Oggi sono in pericolo i giornalisti, quindi è in pericolo l’informazione, quindi è in pericolo la democrazia. Come Volpi Scapigliate chiediamo a gran voce che questa questione ritorni al centro dell’agenda politica, a cominciare dal nostro Paese.