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24 MAGGIO 2023: Dar voce a chi non ha voce

UN IMPORTANTE APPUNTAMENTO PER LA CITTADINANZA

Andy Rocchelli
Dar voce a chi non ha voce

Mercoledì 24 maggio 2023 dalle ore 18
Aula magna collegio Cairoli piazza Cairoli 1 Pavia.
Interverranno:
Andrea Zanoncelli Sostituto Procuratore in funzioni presso la Procura della Repubblica presso
il Tribunale di Pavia
;
Francesco Carante Socio fondatore delle Volpi Scapigliate;
Luca Santese Socio fondatore di Cesura.
Modera l’incontro Giacomo Bertoni osservatore ed editor di Ossigeno per l’informazione.

A nove anni dalla sua scomparsa, parleremo di Andy, oltre che come giornalista, anche dal punto di vista umano; raccontando il suo lavoro, le circostanze in cui è stato ucciso, gli ostacoli e le difficoltà nella ricerca della verità e della giustizia in tribunale.

Discuteremo dello scarto tra la sentenza di primo grado e le due successive: la prima è stata più pesante della richiesta dell’accusa, mentre Appello e Cassazione hanno cancellato l’originale condanna per una questione di vizio di forma.

Infine racconteremo di come la vicenda e la morte di un amico ci abbiano spinto a dare vita ad una associazione (le Volpi Scapiglate) che si occupa proprio della libertà di informazione e dei valori cari
ad Andy.


L’incontro è aperto a tutta la cittadinanza.

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Cercare la verità, combattere la disinformazione, dare voce a chi non ha voce. 

Come Volpi Scapigliate abbiamo chiesto al nostro amico e giornalista Giacomo Bertoni di scrivere un pezzo in memoria di Andy, che oggi avrebbe compiuto 39 anni.
Ecco le sue parole, oggi in edicola sul quotidiano la Provincia Pavese.

Cercare la verità, combattere la disinformazione, dare voce a chi non ha voce. Oggi Andy Rocchelli avrebbe compiuto 39 anni e noi vogliamo ricordarlo perché crediamo che queste parole non siano solo slogan. Vogliamo ricordarlo dalle pagine del quotidiano di Pavia, perché Andy era pavese ed era giornalista. 

Andy era un fotoreporter: con la macchina fotografica al collo osservava il mondo e andava là dove la Storia si scrive. Lo ha fatto a Beslan, nell’Ossezia del Nord, repubblica autonoma nel Caucaso Settentrionale, una città schiacciata da un passato di conflitti e un presente minacciato dall’estremismo islamico. Lo ha fatto a Osh, città che si trova a sud del Kirghizistan, dove la popolazione kirghisa e la minoranza uzbeca hanno intrapreso uno scontro violento. E ancora in Libia, dove la Primavera araba ha portato migliaia di persone a cercare di fuggire dal Paese, e in Calabria, dove la criminalità organizzata non perdona chi dice “no” ai suoi ricatti. Andy partiva, si immergeva in quelle realtà ferite per comprenderle prima e immortalarle poi. Per farle conoscere all’opinione pubblica, per rendere noti fatti che non trovavano e non trovano spazio nelle edizioni delle 20 dei telegiornali nazionali. 

Cercare la verità, combattere la disinformazione e dare voce a chi non ha voce non erano per Andy la scritta perfetta per un post da rilanciare sui social, erano semplicemente la quotidianità. È con questo spirito che nel maggio del 2014 Andy arriva in Ucraina, in un Donbass straziato dalla guerra fra esercito ucraino e separatisti filorussi. Lì fotografa le famiglie ucraine che si nascondono negli scantinati per sfuggire ai terribili colpi di mortaio che tutto distruggono. A guardare gli scatti di Andy, che faranno il giro del mondo, sembra di sentire il sibilo dei mortai e le voci concitate dei civili che cercano riparo. Ecco, i civili. Sono proprio loro le prime vittime di ogni conflitto, di ogni sopruso, di ogni abuso di potere. È proprio su di loro che Andy puntava l’obiettivo, per raccontare storie che la propaganda incrociata delle guerre cancella o strumentalizza. 

Il 24 maggio del 2014 i colpi di mortaio dell’esercito ucraino hanno rotto per sempre la sua macchina fotografica, ma la storia di Andy continua ogni volta che giornalismo e opinione pubblica si ritrovano dalla stessa parte della barricata per chiedere risposte a chi detiene il potere. Anche oggi, ne siamo certi, l’Andy 39enne sarebbe in giro per il mondo a raccogliere voci che altrimenti non avrebbero voce. Buon compleanno Andy, Pavia non ti dimentica. Giacomo Bertoni per Le Volpi Scapigliate 

Ad otto anni dalla sua morte ed all’inizio del conflitto che sta scrivendo la storia Europea dei nostri giorni, un documentario ha raccolto le inedite testimonianze dei militari ucraini che erano sulla collina di Karachun, da cui partirono i colpi di mortaio quel giorno. The Deserter, proiettato a Modena il 25 settembre, ha ottenuto la menzione speciale al DIG Festival, confermando le responsabilità evidenziate già dai processi.

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Dal 24 maggio 2014 a oggi: 8 anni di consapevolezza

Sono passati otto anni da quel maledetto 24 maggio 2014, quando l’esercito ucraino insieme alla Guardia Nazionale Ucraina decise di aggredire i giornalisti che stavano documentando i fatti del Donbass, uccidendo Andrea Rocchelli e Andrej Mironov e ferendo gravemente William Roguelon, scampato miracolosamente al tiro di saturazione dei militari, finalizzato all’eliminazione fisica del convoglio di civili.

Oggi assistiamo ad un quadro geopolitico stravolto, irriconoscibile, ma che affonda le sue radici in quei giorni. L’invasione russa ha martoriato la popolazione civile di una terra che già prima non trovava pace, schiacciata com’era tra l’incudine di un passato sovietico ingombrante e il martello di una spontanea tensione democratica ed europea sostenuta però da forti pressioni atlantiche. Ogni giorno si consumano massacri e violenze, e ogni giorno questa guerra ci ricorda che possiamo avere tutti i social e i giga del mondo, ma la guerra ha la caratteristica di silenziare i testimoni e quel che resta è sempre e solo propaganda.

La guerra e il mancato rispetto dei civili e dei giornalisti in primis vanno a braccetto. Considerare la guerra come un’opzione per risolvere le controversie e liberarsi di chi non si fa i fatti propri sono due facce della stessa medaglia. Non può esserci guerra se l’opinione pubblica conosce l’orrore. Chi vuole la guerra vuole anche la disinformazione. Ne ha bisogno, se ne nutre. Ed è per questo che noi dobbiamo difendere i giornalisti. Sono la nostra coscienza e insieme la nostra assicurazione sulla vita. Quando vengono presi di mira i giornalisti, è il segno di qualcosa di profondo che non quadra.

Stessa identica situazione in Palestina, dove due settimane fa la giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh è stata assassinata dai militari israeliani. Scritta “press” cubitale ignorata, palleggio di accuse, silenzio o narrazione pilatesca dei media internazionali, zero assunzione di responsabilità da parte del governo israeliano. E via verso il nuovo omicidio del prossimo giornalista che sarà nel posto giusto con un esercito che riceve l’ordine sbagliato.

Oggi è il tempo di raddrizzare questa stortura. Come nei decenni si è accettato che la Croce Rossa soccorresse i feriti nelle zone di guerra, senza che nessuno per l’appunto sparasse sulla croce rossa, perchè solo benefici possono provenire dalle cure mediche, così bisogna riconoscere che il lavoro dei cronisti e dei reporter porta sui teatri di guerra quella cura insostituibile che si chiama verità. E’ logico che al dittatore di turno dia fastidio, ma la verità fa troppo bene a tutti noi nel lungo periodo perchè possa essere ignorata. La verità rende liberi. Liberi dalla guerra. Da tutte le guerre, da quest’ultima in Ucraina a tutte le altre, quelle dimenticate.

Il nostro percorso per la libertà di stampa e i diritti civili continua ed è vivo più che mai, assieme alla sensazione di vivere momenti decisivi della storia. Proprio il 24 maggio viene inaugurata presso il circolo Radio Aut di Pavia una mostra fotografica di Andy Rocchelli sulla primavera araba, per non dimenticare un’altra pagina di storia che non sarebbe stato possibile comprendere senza giornalisti veri sul posto. Il 27 maggio alle ore 20.30 andrà invece in onda una nuova puntata di Spotlight su RaiNews 24 sempre dedicata a Andy. Continuate a seguirci e stare al nostro fianco: vi promettiamo che ne vale la pena.