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Dal Donbass all’invasione, una escalation durata 8 anni: la nostra condanna alla guerra in Ucraina

Proprio in queste ore gli eventi in Ucraina stanno precipitando. Le forze armate russe attaccano in massa la maggior parte delle città del Paese, ben al di là dei confini delle repubbliche di Donetsk e Luhansk. E’ guerra aperta, nel cuore dell’Europa, a diversi decenni di distanza dall’ultima crisi di questa portata. E tutto è partito dal martoriato Donbass, dove noi abbiamo perso un amico, un reporter, una fonte di ispirazione. Da 8 anni siamo legati agli sventurati popoli di quelle terre da un filo rosso intessuto di empatia e partecipazione. Per queste ragioni, oggi sentiamo l’urgenza di esprimere una riflessione su questa situazione, che pure è più grande di tutti noi.

Per prima cosa sgombriamo il campo dai dubbi insinuati da chi in questi anni ci ha voluto collocare da una parte o contro l’altra. Il governo nazionalista ucraino in questi anni ha fatto ben poco per migliorare la propria situazione e quella della propria gente. Da un lato il costante braccio di ferro con Mosca, dall’altro l’incapacità di darsi un profilo democratico di tipo occidentale, come si è ben visto ad esempio nella mancanza di collaborazione con l’Italia in una intricata vicenda di diritto internazionale come quella dell’omicidio di Andy e Andrej, lo hanno collocato in una posizione perennemente ambigua. Ciò posto, e pure ammettendo che la prospettiva di ritrovarsi la NATO alle porte non potesse passare esattamente inosservata al Cremlino, l’iniziativa odierna di Putin è ben più che sproporzionata e assume i contorni di una follia imperialista d’altri tempi. Si preannunciano morti, miserie, atrocità: parliamo di una responsabilità morale, politica e storica enorme.

Noi non simpatizziamo per nessun governo. Noi siamo per la pace e contro la guerra sempre, senza distinzioni, e sempre dalla parte della popolazione civile. In questo momento ciò che ci sta più a cuore è la gente dell’Ucraina, che come sempre in questi casi subisce le conseguenze e paga il prezzo più alto, senza avere voce in capitolo. In generale crediamo che nel 2022, con gli strumenti intellettuali di cui disponiamo e all’uscita da una dolorosa pandemia, una escalation che porta all’invasione di uno stato sovrano e alla guerra aperta nei suoi territori sia un fallimento da parte di tutte le diplomazie del mondo. Non dovrebbe succedere mai, non dovrebbe succedere più, e sicuramente non qui e non adesso. Siamo troppo piccoli in un universo ostile per permetterci ancora di farci male da soli così.

Se non siamo stati in grado di evitarlo, ci auguriamo almeno di poter avere una copertura giornalistica all’altezza degli eventi, cosa resa difficile in luoghi dove la tutela dei reporter non è una priorità ed essi anzi diventano facilmente obiettivi di guerra, come abbiamo imparato dal modo in cui l’esercito ucraino uccise deliberatamente Andy e Andrej. Ci aspettano mesi di propaganda incrociata e menzogne. Il modo più efficace di arginare la guerra è fin dal Novecento la mobilitazione in massa dell’opinione pubblica. Ma perchè ciò sia possibile è necessario prima che sia informata. Che sappia la verità. A questo servono la libertà di stampa e la tutela dei giornalisti. Aspettiamo di leggere i vostri reportage, nella speranza di poter smettere un giorno di dovervi chiamare eroi.

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I cosiddetti “diritti umani” nell’era post-democratica

Il mondo celebra il 9 dicembre i “diritti umani” (aspetto qualcuno che mi spieghi che cosa sono: ho una laurea in Filosofia del diritto con Norberto Bobbio e oltre 40 anni di docenza alle spalle di Storia del pensiero politico, ma l’espressione mi sembra vaga e ambigua…) e precisamente in questa data, con tempismo eccezionale, l’Alta corte di giustizia inglese si pronuncia a favore dell’estradizione di Julian Assange negli Usa, il che vuol dire come minimo ergastolo se non morte per quello che io personalmente definii tempo fa “un eroe del nostro tempo”.

Contemporaneamente, nella medesima “giornata dei diritti umani” la nostra Corte di Cassazione conferma l’assoluzione per il fascista ucraino Vitaly Markiv, condannato in primo grado a 24 anni di reclusione per l’omicidio di Andrea Rocchelli, Andy per amici e familiari, ucciso mentre cercava di documentare i fatti seguiti al golpe ucraino, sostenuto da USA e UE, nella regione del Donbass. In seconda battuta Markiv, per la cui liberazione si è vergognosamente battuto il Partito Radicale Italiano (sempre in prima fila in questioni di giustizia!), era stato assolto, in Appello. E ora la faccenda viene dichiarata chiusa da questa sentenza che non smentisce l’impianto accusatorio ma rigetta la richiesta di un nuovo processo, avanzata dalla procura, per questioni di mera forma.

Trionfa dunque l’ingiustizia nell’era della post-democrazia, la quale, tronfiamente, goffamente, celebra i “diritti umani”.

Ma questi due fatti, scollegati fra loro, e accomunati dalla iniquità di una “giustizia” che in Italia come in Inghilterra si nutre di pura forma, e rigetta la sostanza, una “giustizia” che nulla ha a che spartire con la verità, sono collegati strettamente da un filo rosso (o piuttosto nero, nerissimo). Essi certificano la fine del diritto all’informazione. Rocchelli con le fotografie (bellissime, tra l’altro: autentiche opere d’arte) e Assange con il sito Wikileaks, hanno documentato le infamie della guerra, gli “arcana imperii et dominationis” (di cui parla Tacito), le vergogne del potere, le oscenità dell’ingiustizia globale. Il popolo deve sapere, aveva detto Lenin, rendendo pubblici i trattati segreti sottoscritti dallo Zar con le potenze imperialistiche. Dove esiste un potere invisibile non può esserci democrazia, mi ha insegnato Bobbio. E dunque?

Ciliegia sulla torta: sempre il 9 dicembre con una coda il giorno 10, si svolgevano le assise virtuali dell’autocelebrazione della “democrazia”, con il “Summit for democracy” convocato dal capo del paese che vuole vedere Assange sulla sedia elettrica (per avere raccontato la verità sulle guerre di “esportazione della democrazia”), o marcire a San Quintino. La stessa nazione che ha sostenuto il colpo di Stato in Ucraina, e che porta, sia pure indirettamente, la responsabilità dell’assassinio di Andy Rocchelli. Ebbene, il presidente Biden ha avuto l’improntitudine di dichiarare, nell’apertura della videconferenza, queste priorità per il sistema democratico: “Combattere la corruzione, difendere la libertà dei media e i diritti umani”.

Qualche anchorman, qualche ministro, qualche sottosegretario, qualche presidente, ha nulla da dire in proposito? Dobbiamo sempre chinare la testa e trangugiare il boccone, anche quando amarissimo?

Prof. Angelo d’Orsi
Già Ordinario di Storia del pensiero politico
Università degli Studi di Torino

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Verso la Cassazione e oltre: dalla giustizia alla politica europea

Giovedì 9 Dicembre la Corte di Cassazione comunicherà il suo verdetto sulla vicenda processuale legata all’omicidio di Andy Rocchelli e Andrej Mironov nel Donbass, in Ucraina, nel 2014. Per l’occasione, l’Associazione Lombarda dei Giornalisti e la Federazione nazionale dei Giornalisti Italiani hanno ha convocato martedì scorso una conferenza stampa per spiegare lo stato dell’arte e i prossimi passi, con l’intervento diretto da parte dei genitori di Andy Elisa Signori e Rino Rocchelli e dell’avvocato Alessandra Ballerini ad affermare con forza il proprio punto di vista. Alla luce di tutto questo, oggi noi da questa pagina intendiamo restituire ai lettori il senso di dove ci troviamo e cosa ci prospetta il futuro.

Innanzitutto, la Cassazione è chiamata ad emettere un verdetto basato su un parere tecnico. La sentenza della Corte d’Appello di Milano ha confermato al 100% la ricostruzione dei fatti proposta in primo grado dalla Procura di Pavia: il convoglio di giornalisti di cui faceva parte Andy fu riconosciuto e attaccato deliberatamente dall’Esercito Ucraino su segnalazione della Guardia Nazionale Ucraina, con un fuoco di saturazione mirato all’eliminazione fisica dei reporter. Ciò che è in discussione è l’utilizzabilità o meno delle testimonianze di commilitoni e superiori dell’imputato Vitalij Markiv che lo collocano il giorno dell’attacco nella postazione da cui venivano indicate agli operatori dei mortai le coordinate degli obiettivi. Su queste testimonianze pesa un vizio di forma, legato alle modalità di raccolta delle testimonianze stesse. La Cassazione potrebbe ritenerle utilizzabili, ribaltando nuovamente la sentenza su Markijv, oppure confermare la loro inutilizzabilità. Ciò che resterà in ogni caso è l’affermazione della responsabilità diretta dell’esercito ucraino in un crimine di guerra in chiara violazione del diritto internazionale.

Posto che qualunque sia il verdetto tale responsabilità sarà comunque accertata, che cosa viene dopo?

Tutto il processo è stato caratterizzato dalle continue interferenze dello Stato Ucraino, nel tentativo di insabbiare, negare, condizionarne lo svolgimento anche tramite appelli alla politica italiana perchè entrasse a gamba tesa sulla giustizia. Durante tutto questo periodo lo Stato Italiano è stato completamente silente, o per meglio dire assente, mentre la famiglia di Andy e noi al suo fianco abbiamo continuato a rispettare l’operato della magistratura, evitando di mischiare i piani politico e giudiziario, nel rispetto delle istituzioni. Ma quando l’iter giudiziario e il lavoro della magistratura finiranno?

Lo ha spiegato in modo perentorio Beppe Giulietti, Presidente dall’Associazione Nazionale della Stampa Italiana: “Adesso la questione non è più cosa accade nelle aule di giustizia, ma nelle aule della politica. Sarò in Cassazione a rappresentare la comunità dei giornalisti che si sono schierati al fianco della famiglia Rocchelli e un minuto dopo chiederemo un incontro al ministero degli Esteri, al presidente del Comitato per le minacce ai cronisti della commissione Antimafia e consegneremo loro la sentenza chiedendo di fare almeno un centesimo di quel che hanno fatto le autorità ucraine, che sono pesantemente intervenute per il loro concittadino. Chiederemo alle istituzioni italiane di reclamare risposte sull’assassinio di due persone. Non voglio credere che siccome l’Ucraina è un Paese amico su questa vicenda debba calare il silenzio”. Adesso è il tempo della politica.

Secondo Rino Rocchelli “vogliamo che la vicenda sia nota in Europa e anche in Ucraina. Nel 2022 in Francia verrà istituito un processo penale per il ferimento di William Roguelon (insieme a Andy e Andreij il giorno dell’attacco, ndr) presso la sezione del tribunale di Parigi dedicata ai crimini di guerra, e noi vogliamo costituirci parte civile anche lì”. Ancora più esplicita Elisa Signori: “in questa vicenda abbiamo registrato la totale assenza dello Stato italiano. Adesso, di fronte a un omicidio che non è un fatto privato ma una tendenza sistematica a silenziare i giornalisti nelle zone di guerra, vogliamo chiedere all’Italia e all’Europa se esiste una volontà politica di proteggere l’incolumità dei giornalisti.”

Per chi potesse avere inteso che il 9 Dicembre fosse una conclusione, lo chiariamo esplicitamente: il 9 Dicembre è un inizio. Comincia la fase più propriamente politica della vicenda. I fatti sono stati accertati. Nella nostra cara vecchia Europa è stato consumato e poi provato oltre ogni ragionevole dubbio un crimine di guerra odioso, che sottintende la pericolosa tendenza, quando si combattono guerre sporche e non convenzionali, a calpestare diritti umani che ormai davamo per acquisiti – anche in guerra – e a minacciare il nostro diritto di cittadini ad essere informati sui fatti, che poi è l’unico modo per provare a migliorare le cose. L’Europa è consapevole di tutto questo? E cosa può fare perchè chi ha violato le regole si assuma le proprie responsabilità? E cosa può fare di diverso in futuro? Che ruolo può giocare l’Italia in questa partita, forte del fatto che a farne le spese è stato un proprio cittadino? Queste sono le domande che, ora che non c’è più un processo con cui era giusto non interferire, porremo con sempre più forza in tutte le sedi possibili. Conosciamo i fatti, la verità, ma ora è tempo di trarne le conseguenze: la giustizia. Fare giustizia è l’unico modo per creare un futuro più giusto, in cui gli orrori del passato non si debbano ripetere ancora uguali.