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Andy e le Volpi Scapigliate: 6 anni dopo

Ci sono alcuni tra noi Volpi Scapigliate che avevano frequentato Andy Rocchelli ragazzo, tra il Sottovento e Piazza Duomo, per poi perderlo di vista come a volte capita, quando si cresce. Ce lo ricordavamo spensierato, sorridente, casinista. E poi abbiamo scoperto la stupefacente profondità del suo lavoro di uomo adulto soltanto dopo quel maledetto giorno, 6 anni fa oggi.

E’ stato un percorso di sofferenza, ma è stato anche un viaggio di riscoperta. Eravamo partiti con l’intento di cercare verità e giustizia per un amico, ci siamo ritrovati a prendere appunti e a imparare lezioni di giornalismo, di professionalità e di vita da una figura che ci ha lasciato tanto, molto di più di quello che credevamo di poterci aspettare.

Da Andrea abbiamo imparato che valori come i diritti umani o le libertà fondamentali non sono ideali astratti, ma diventano obiettivi concreti nel momento in cui si saldano insieme con le storie e con i loro protagonisti. I bambini di Sloviansk. Andrea ci ha ricordato che per raccontare quelle storie, ma anche per costruire le nostre storie, non esistono scorciatoie: lavoro duro, compromessi zero e un prezzo a volte altissimo da pagare. Ci ha fatto sentire uniti più che mai, Andrea, attorno a un universo di racconti, di speranza e di fiducia nella possibilità di fare il nostro pezzettino per plasmare una società migliore.

Un anno fa in questi giorni completavamo il progetto “Da barriere a ponti”, una iniziativa che in questo anniversario diventa una volta di più simbolo di chi è stato Andy Rocchelli e di chi vogliamo essere noi Volpi Scapigliate. Una banda di liceali, quei millennials che va di moda immaginare isolati dietro ai loro smartphones, ha dedicato mesi a studiare l’opera di Andy e a tradurla in pensieri ed immagini, per poi riempire la città di colori. Colori sul cemento, e storie di guerra e di pace, di libertà, di informazione, di diritti violati. Anche quello è stato un cammino importante, per loro e per noi.

Oggi, un anno dopo, siamo ancora qui. Non è semplice organizzare iniziative al tempo del coronavirus, ma ne arriveranno di nuove, prestissimo. Noi ci siamo, con Andy e per Andy. In attesa del processo di appello. Per condividere con la nostra città tutto quello che ancora oggi stiamo imparando da lui.

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Da Andy a Mario: la Volpe Scapigliata e il suo testimone

Ce lo siamo ascoltato tutto d’un fiato. Abbiamo pianto, abbiamo anche sorriso, ci siamo arrabbiati di nuovo. Tutto daccapo. E’ stato difficile. E non ce lo saremmo persi per niente al mondo.

Perché Mario Calabresi, oltre ad essere un attento ascoltatore ed un bravissimo narratore di storie, è un uomo che sa bene che cosa vuol dire morire sul lavoro, morire ammazzati, morire lasciando dei figli piccoli. Ha avuto il coraggio di parlare di sé, raccontandoci la storia della sua famiglia in un libro altrettanto duro: Spingendo la notte più in là. E oggi ci parla di Andy, una mano tesa tra generazioni diverse e un destino sotto certi aspetti in comune.

Ascoltare il podcast “La Volpe Scapigliata” ci ha fatto ripercorrere tutti in una volta i ricordi di questi sei anni, da quel maggio maledetto del 2014. Ci ha fatto rivivere i luoghi. Il funerale in Seminario. Il processo, in quella striminzita aula di tribunale. La camminata tra i papaveri rossi, la scorsa primavera. L’ultima udienza nella Sala dell’Annunciata e quella emozione mai provata prima, come un senso di liberazione sopra ad un mattone di dolore, che se ne restava lì tutto intero.

Oggi ci sentiamo tutti uniti da quel filo sottile che corre attraverso le istituzioni, il giornalismo, la verità e la giustizia, l’ansia di conoscere e raccontare le storie, che era così radicata in Andy. Oggi siamo uniti con loro. Con Mario, con Andy. Con queste famiglie. Cercando di spingere tutte le loro notti ancora un pochino più in là.

Ascolta il podcast di Mario Calabresi

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In che stato (di diritto)

Oggi vi parliamo di divisione dei poteri, e di stato di diritto. Sembra noioso. Vedrete che non lo è.

Nella giornata di venerdì è avvenuto un incontro trai il Presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte e il Presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky. Secondo il sito ufficiale della presidenza ucraina, nell’incontro si è discusso del caso di Vitalii Markiv, condannato a 24 anni di reclusione per l’omicido di Andrea Rocchelli e Andrej Mironov. Sostanzialmente si riporta con orgoglio che Zelensky avrebbe fatto pressioni perché sia rilasciato. Citiamo testualmente, perché a noi piace far parlare i fatti:

“Le parti hanno anche discusso il caso del combattente della Guardia Nazionale Vitalii Markiv incarcerato in Italia. “Capisco che il Primo Ministro non può influenzare il tribunale italiano. Ma ho mostrato in dettaglio cosa è accaduto là, a che distanza era (Markiv) dalla scena del delitto. E che dobbiamo portare via il ragazzo”, ha detto il Presidente (Zelensky)”.

L’articolo completo è qui.

Il punto qui non è la colpevolezza o meno di Markiv. Il punto è la correttezza o meno della procedura da seguire in un caso come questo. Abbiamo assistito ad un processo veramente pesante, a cui ne seguirà un altro in appello. Abbiamo ascoltato testimonianze di militari, abbiamo guardato scene di guerra sul monitor. Abbiamo visto un nostro amico morto su un tavolaccio. Questo si fa per la verità. E per la giustizia. Questo si fa, perché crediamo nelle istituzioni repubblicane così come si deve credere nella buona fede e nella competenza dell’arbitro quando si gioca a pallone.

Raccontare a un Presidente del Consiglio perché secondo te una sentenza e sbagliata, e dirgli che va ribaltata, è una cosa marcia, malata. E’ tentare di distruggere le regole del gioco. E’ metterlo a rischio, quel gioco che si chiama democrazia.

Come vedete, non entriamo neppure nel merito dell’opinione di Zelensky sulla colpevolezza o meno di Markiv. C’è un tribunale per quello. C’è una giuria per quello. Noi accettiamo, e accetteremo le sentenze. Noi detestiamo che questa cosa finisca a tifoserie, ultras che tirano la giacchetta al politico di turno. E non diciamo questo perché siamo dei burocrati noiosi. Diciamo questo perché siamo con la famiglia di Andrea, che merita rispetto. Un processo giusto, una rigorosa ricostruzione degli eventi e un accertamento delle responsabilità: questo è il minimo sindacale che uno stato di diritto come si deve è chiamato a dare ai suoi cittadini. Noi a questo stato di diritto crediamo. Voi ci credete?