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Abbiamo fottuto un reporter

In queste settimane abbiamo spesso pensato se fosse o meno il caso di rispondere agli articoli apparsi sul New York Times, su Il Post.

Solitamente evitiamo di fomentare la polemica soprattutto se priva di fondamenta. Siamo però dispiaciuti e amareggiati per quanto sta accadendo. Ci spiace leggere articoli di giornalisti che mai hanno partecipato ad una singola udienza. Leggiamo di politici che appoggiano versioni e posizioni discutibili senza avere una reale conoscenza del caso. Quindi, abbiamo deciso di sbottonarci un po’ e di dire con schiettezza cosa pensiamo.

In risposta a quanto letto, vi avremmo potuto parlare di quanto sia stato pesante presenziare in quell’aula di tribunale con gli occhi puntati addosso, a subire gomitate, a sentirci dire che siamo dei razzisti, con la sola colpa di essere interessati a seguire questa vicenda. Avremmo potuto parlare delle foto che abbiamo visto in aula, che testimoniano gli orrori di una guerra in cui le vere vittime sono i civili.

Avremmo potuto ricordarvi del piano di evasione progettato da Markiv. Potremmo maneggiare tanto di ciò che abbiamo visto e sentito per spingervi a pensarla come noi. Ma questa non è ciò che vogliamo.

Le Volpi Scapigliate sono nate a sostegno della famiglia Rocchelli durante il processo e hanno l’obiettivo di appoggiare la libertà di stampa, sostenendo tutti coloro che danno voce a chi non può far sentire la propria. Crediamo nella giustizia e crediamo nell’importanza di questa sentenza. Per Andy, per tutti i civili e i reporter uccisi in teatri di guerra.

Markiv, insieme ai suoi ha ucciso dei civili, Andy forse è solo una delle vittime. In questo modo, che piaccia o meno, sono state violate le norme della Convenzione di Ginevra che tutela e protegge i civili in tempo di guerra.

A tutti lasciamo allegate le motivazioni della sentenza che comprendono le trascrizioni del processo oltre che le conclusioni, un mezzo ufficiale da cui potrete trarre le vostre opinioni in modo libero.

Clicca qui per scaricare le conclusioni della Corte di Assise

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Due settimane di fuoco turco in Siria. L’appello: giù le mani dai giornalisti

Sono trascorse poco più di due settimane dall’8 Ottobre, quando è cominciata l’operazione “Fonte di pace” con la quale l’esercito della Turchia di Recep Tayyip Erdogan ha invaso il nordest della Siria. Da allora si sono levate diverse voci di condanna politica di questa iniziativa, che ha aperto di fatto l’ennesima crisi all’interno di una regione dilaniata per anni dai combattimenti. Oltre ad unirci simbolicamente al coro di solidarietà secondo noi doveroso nei confronti del popolo curdo, a noi sta a cuore segnalare come anche questa vicenda abbia implicazioni decisive sotto i profili della libertà di stampa e della tutela dei giornalisti.

Come spesso accade in questo primo scorcio di ventunesimo secolo, ci troviamo ad assistere ad un conflitto in cui combattono più di due forze – Siria, Turchia, forze curde e gruppi jihadisti – si fa largo uso di milizie irregolari e i civili vengono presi di mira direttamente, con violazioni sistematiche dei diritti umani fondamentali. Una delle spie più allarmanti ad accendersi in questi contesti è rappresentata dalla minaccia costante a cui sono esposti i giornalisti: proprio quelli che col loro ruolo di controllori potrebbero testimoniare di fronte all’opinione pubblica mondiale e determinare levate di scudi a mitigare quelle atrocità. Se la stampa viene indebolita, allora tutti noi siamo più deboli e meno capaci di curare le nostre ferite.

La situazione si fa se possibile ancora più grave quando è direttamente uno stato sovrano e membro della NATO come la Turchia a rendersi colpevole di tali azioni. E’ accaduto durante la prima settimana di ostilità, il 13 Ottobre, quando un raid aereo turco ha colpito un convoglio di civili nei pressi della città siriana di Ras Al-Ain. Come riportato dal Committee to Protect Journalists, a farne le spese sono stati due giornalisti curdo-siriani, rimasti uccisi nell’attacco: sono Muhammed Hussain Rasho, dell’emittente Cira TV, e Saad Ahmed, dell’agenzia Hawar News. Per questo motivo, oltre al generico sdegno verso quanto sta accadendo nel Kurdistan siriano, ci teniamo ad unire la nostra voce a quella ben più autorevole del CPJ, nel ricordare altri due testimoni caduti in conflitto e nel ripetere ancora una volta il solito messaggio: giù le mani dai giornalisti. Perché se nell’ambito di un’operazione chiamata “Fonte di pace” si conducono attacchi aerei su civili e giornalisti, allora c’è più di qualcosa che non torna.

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Un nuovo anno

Il 27 settembre è il compleanno di Andy – che compirebbe 36 anni – e ci piace, ricordardandolo, fermarci un attimo e ricordare ciò che abbiamo fatto finora, nonchè ricordare – nell’altro significato del termine – le attività che sono in preparazione per l’autunno 2019.

Innanzitutto, il processo. Come sapete, si è concluso il primo grado di giudizio con la condanna a 24 anni a Vitaly Markiv e l’attestazione della responsabilità da parte dello stato ucraino. Ha sicuramente destato un certo scalpore il fatto che la sentenza abbia previsto 7 anni in piú rispetto a quanto chiesto dal pubblico ministero. Poichè, come abbiamo sempre detto, questa non è una questione privata, ma riguarda piú in generale il diritto di fare informazione, ci interessano moltissimo le motivazioni della sentenza, che dovranno uscire a breve, e che speriamo saranno, da questo punto di vista, piú importanti della sentenza stessa. Ci impegnamo quindi, appena saranno uscite, a farvene un resoconto o a pubblicarle integralmente.

Nei mesi passati ci siamo impegnati a sensibilizzare la società (non solo pavese) sul processo per attestare la responsabilità dell’uccisione di Andy, organizzando incontri pubblici e portando nell’aula di giustizia persone che forse neanche conoscevano l’accaduto, o ne avevano sentito parlare superficialmente. Attraverso il progetto “Da barriere a ponti”, in collaborazione con l’Istituto Artistico A. Volta di Pavia, il lavoro di Andy è stato fatto conoscere ai più giovani che poi lo ha portato nel centro città, dove spiccano i jersey dipinti dagli stessi studenti del liceo. Ci stiamo attivando per organizzare, assieme all’Istituto, una visita guidata assieme agli autori dei disegni: spiegheranno il loro lavoro, il significato che volevano dare alle immagini che hanno creato, il rapporto delle loro opere con le foto di Andy.

Altro progetto in cantiere (da parecchi anni) è la pubblicazione di un libro che raccoglie le favole della tradizione senegalese raccolte (registrate, tradotte e trascritte) nel villaggio di Dabia da Andy e altri amici che sono stati lì a più riprese nel corso degli anni: i viaggi in Senegal e soprattutto nel villaggio di Dabia sono stati significativi per la “vocazione fotografica” di Andy. La pubblicazione del materiale raccolto in Senegal sarebbe la (tardiva) realizzazione di un vecchio progetto nel quale Andy era coinvolto in prima persona e a cui era molto legato.

Questi sono solo alcuni dei progetti che ci frullano in testa, siamo aperti a conoscere e valutare eventuali suggerimenti e proposte.

Infine, la cosa più importante: le Volpi Scapigliate ora sono una associazione a tutti gli effetti… a breve (per chi è interessato) daremo informazioni su come associarsi.
Per noi questo è l’inizio di un nuovo anno, portando avanti i progetti e i valori che ci hanno spinto a creare una associazione: difendere e promuovere la libertà di informazione e far conoscere il lavoro di andy.

Volpi Scapigliate